Il Giardino Nascosto della Memoria: Neuroscienza, Corano e l’ Arte dell`Oblio
- Nora Amati
- 10 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Immagina la mente come un giardino vasto e complesso, in cui ogni ricordo, idea o percezione è un seme. In questo contesto, dimenticare non costituisce una perdita, ma un processo attivo di selezione: il cervello, come un abile giardiniere, elimina ciò che è superfluo per consentire la crescita e il consolidamento dei ricordi essenziali. La neuroscienza contemporanea evidenzia come tale potatura neuronale favorisca flessibilità e resilienza cognitiva. Parallelamente, il Corano allude all’esistenza di un registro centrale, un archivio universale in cui nulla viene realmente perduto, suggerendo una dimensione metafisica del ricordo che trascende la percezione umana lineare del tempo.
L’oblio, secondo la psicologia moderna, è una strategia di sopravvivenza: il cervello dimentica per proteggere l’individuo e facilitare il progresso personale. La quantità di stimoli cui siamo quotidianamente esposti—immagini, suoni, informazioni—richiede meccanismi di selezione, analoghi a una valigia già piena che non può essere ulteriormente caricata. La memoria, pertanto, non è infinita; dimenticare libero spazio, consentendo alla mente di concentrare risorse su ciò che è veramente significativo.
Lo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus, nel XIX secolo, dimostrò che la perdita della memoria segue un ritmo prevedibile: circa la metà delle informazioni acquisite viene dimenticata entro la prima ora, con una riduzione progressivamente più lenta nel tempo. Ciò evidenzia come la memoria sia soggetta a limiti naturali, e come la dimenticanza sia funzionale piuttosto che casuale.
Il Corano invita alla riflessione sulla memoria attraverso versi emblematici:“E certamente abbiamo reso il Corano facile da ricordare. C’è dunque qualcuno che rifletta?” (Sura Al-Qamar, 54:17)Allo stesso tempo, viene sottolineato che ogni azione è registrata in un registro universale, suggerendo che nulla va realmente perduto. Questa dualità tra dimenticanza attiva e registrazione universale apre una prospettiva in cui la memoria individuale e quella cosmica coesistono armoniosamente.
La neuroscienza conferma che la memoria nasce dall’interazione tra soggetto e ambiente: uno sguardo, un suono, un odore o una sensazione, se percepiti attentamente, vengono codificati in tracce neurali. Tuttavia, tali tracce non scompaiono completamente: rimangono latenti, come strati profondi di un dipinto, invisibili ma persistenti. Questo spiega perché, secondo molte testimonianze, al momento della morte la vita di una persona può apparire come un film completo, in accordo con il verso coranico:“E tutto ciò che hanno fatto è nei registri scritti.” (Sura Al-Qamar, 54:52)
La filosofia platonica risuona con questo concetto: Platone sosteneva che l’anima contemplasse verità eterne prima dell’incarnazione e che, pur dimenticandole nell’esistenza corporea, queste rimanessero come memorie latenti, riattivabili attraverso riflessione e esperienza. Anche la psicologia contemporanea riconosce forme analoghe di memoria implicita: tracce di esperienze passate che persistono senza consapevolezza cosciente.
Il legame tra spiritualità e neuroscienza emerge chiaramente nella pratica della recitazione coranica. Studi indicano che leggere, memorizzare e recitare il Corano attiva aree cerebrali coinvolte nella memoria, nel linguaggio e nelle funzioni cognitive superiori. Il tarteel, il ritmo lento e misurato della recitazione, induce stati di calma cerebrale analoghi alla meditazione, aumenta le onde alfa e theta e favorisce rilassamento, concentrazione e consolidamento mnemonico.
L’ascolto e la recitazione del Corano riducono inoltre i livelli di cortisolo, migliorando benessere emotivo, qualità del sonno e resilienza psicologica. Dal punto di vista cognitivo, i recitatori regolari mostrano significativi miglioramenti nella memoria di lavoro, nell’attenzione e nella fluidità verbale, dimostrando che la pratica coranica funge anche da allenamento neurocognitivo naturale.
In conclusione, dimenticare non è una debolezza della mente umana, ma un meccanismo evolutivo e spirituale. La memoria, così come descritta dalla neuroscienza e dal Corano, emerge come ponte tra dimensione individuale e universale, tra il tempo finito dell’esperienza umana e l’eternità del registro divino. La cura della memoria, attraverso riflessione, consapevolezza e pratica spirituale, diventa così non solo un esercizio cognitivo, ma un atto di connessione con l’infinito.




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