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La formula che smentisce il nulla: la Shahada e la logica contro l’ateismo

  • Immagine del redattore: Nora Amati
    Nora Amati
  • 11 nov
  • Tempo di lettura: 3 min

“La ilaha illa Allah” — Non c’è altro dio all’infuori di Allah.أشهد أن لا إله إلا الله وأشهد أن محمدًا رسول الله


Ogni grande idea comincia con una negazione. La dichiarazione di fede islamica, la Shahada, non è un semplice atto di appartenenza: è un atto di liberazione. “Non c’è alcun Dio.” Solo dopo questo rifiuto totale di ogni divinità presunta, di ogni idolo mentale o materiale, arriva l’affermazione: “Tranne Allah".

”È in questo passaggio, in questa frattura tra il “non” e il “tranne”, che si apre lo spazio del pensiero. La fede, qui, non è un abbandono della ragione: è il suo culmine.

Nel nostro tempo, segnato da una crisi diffusa del sacro, le chiese si svuotano e le fedi tradizionali sembrano perdere presa sul mondo moderno. Molti si allontanano dalla religione non per ostilità, ma per disillusione: troppe incoerenze, troppe contraddizioni tra dogma e logica. Eppure, in mezzo a questa fuga dal trascendente, il Corano continua a esercitare un’attrazione singolare. La sua coerenza interna, la sua apertura alla riflessione e il suo dialogo con la conoscenza scientifica ne fanno, per molti, un testo sorprendentemente attuale.

Il Corano non chiede di credere ciecamente. Invita, invece, a interrogare, osservare, comprendere. “Iqra” — Leggi — è la prima parola rivelata al Profeta. Non una preghiera, ma un imperativo all’intelligenza. È l’inizio di una tradizione che non teme la curiosità umana, ma la considera una via verso Dio. Nell’Islam, ragione e rivelazione non si escludono: si completano. La conoscenza è sacra quanto la preghiera, e la scoperta scientifica è vista come una forma di contemplazione.

Molti studiosi e convertiti moderni hanno raccontato di aver trovato nell’Islam una rara armonia tra fede e razionalità. Il Corano, dicono, non chiede di scegliere tra il microscopio e la moschea, tra l’esperimento e la preghiera. Al contrario, li unisce in un’unica ricerca della verità. In diversi versetti, il testo sacro descrive fenomeni naturali con una precisione che, letta oggi, suscita stupore: lo sviluppo dell’embrione, la struttura degli oceani, la formazione del cosmo. Non è questione di trasformare il Corano in un trattato di scienze naturali, ma di riconoscerne la straordinaria coerenza con l’ordine del mondo.

Questa coerenza si può cogliere anche nelle esperienze più quotidiane. In un giardino, ad esempio, dove tutto obbedisce a un ritmo che non è casuale: la crescita, la fioritura, la caduta, la rinascita. Ogni dettaglio è un frammento di un disegno più vasto, una manifestazione di quella che il Corano chiama ayat, i segni di Dio. Osservare la natura, in questa prospettiva, non è un esercizio estetico, ma un atto di conoscenza spirituale.

L’idea di Dio nell’Islam è tanto rigorosa quanto poetica. Dire “Non c’è altro dio che Allah” significa riconoscere che il Creatore non appartiene al mondo che ha creato. Non è “in” uno spazio, perché è Colui che ha creato lo spazio stesso. L’Imam Ali lo ha espresso con limpida precisione: “Dio ha creato lo spazio per la Sua creazione, dunque non può essere limitato dallo spazio stesso. Egli è più grande di qualsiasi luogo che possa contenerLo.”

E tuttavia, questa trascendenza non implica distanza. Il Corano afferma: “Siamo più vicini a lui della sua vena giugulare.” (50:16), e su questo tema tornerò.

Dio non è confinato, ma presente. Non visibile, ma intimo. È la coscienza stessa dell’esistenza.

In un altro versetto si legge: “A Lui appartengono le chiavi dell’invisibile; nessuno le conosce se non Lui. Egli sa ciò che è sulla terra e nel mare. Nessuna foglia cade senza che Egli lo sappia, né un granello nella tenebra della terra, né nulla di verde o secco che non sia scritto in un Libro chiaro.” (Corano 6:59)

Poche righe bastano per delineare una teologia della conoscenza totale: un universo in cui ogni evento, dal moto delle galassie alla caduta di una foglia, è inscritto nella consapevolezza divina. È una visione in cui la scienza non si oppone alla fede, ma ne diventa linguaggio parallelo.

Leggere il Corano, per chi vi si accosta con mente libera, è come immergersi in un oceano. All’inizio si nuota in superficie, dove il linguaggio è chiaro, lineare, quasi narrativo. Poi, gradualmente, si scende: i significati si moltiplicano, la prospettiva si amplia, e la logica stessa sembra dilatarsi per accogliere qualcosa di più grande di sé. A un certo punto, non si cerca più di capire con la mente: si comincia a riconoscere con il cuore, e anche su questo tema tornerò.

Il Corano non è soltanto un libro da leggere: è un viaggio da intraprendere. Un testo che non impone, ma accompagna; che non chiude, ma apre. Nel suo linguaggio antico vibra una modernità sorprendente: l’invito a pensare, a osservare, a conoscere. Perché, in fondo, la fede, in Islam come nella filosofia, non nasce dall’assenza di ragione, ma dal suo compimento. E riconoscere questo è, già di per sé, un atto di fede.


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